domenica 9 giugno 2013

Acqua 6x6x6 - La recensione


gio 30 maggio
Acqua 6x6x6
con Signorina ?Alos e Silvia Mazzavillani

Cosa accadrebbe
se una donna dicesse
la verità sulla propria vita?
Il mondo si spaccherebbe in due.

Muriel Rukeyser

Rappresentare la donna e il suo contatto diretto con la natura è il leitmotiv delle performance di ?Alos. Dopo Terra, infatti, l’artista entra in contatto con un nuovo elemento, indagandolo. Acqua, flusso di emozioni in cui immergersi e con cui interagire mentre il ticchettio della sveglia scandisce i minuti. Sei per la precisione! Sei piccoli istanti in cui assistiamo alla magica esplorazione e in cui possiamo percepire il nostro destino.
I rimandi mitologici ci balzano alla mente come schegge scaturite dal suo simbolismo personalissimo che rincorre la mitologia attraverso cambi di corrente.
Se Ofelia se ne lascia trasportare, ?Alos la domina, la fa sua e ne diventa Signora. Chi la osserva non può far altro che percepirlo e chiedersi cosa comporterebbe l’immersione in quella stessa vasca.
Gettarsi nelle braccia di quella donna magica aiuterebbe l’anima a purificarsi o ne comprometterebbe irreversibilmente la salvezza?
Nessuno può saperlo eccetto colei che tutto conosce. La magia legata al contatto con l’acqua si traduce in un’arsura colmabile solo attraverso un ripensamento. La donna vive la sua condizione schizofrenica, una costante diatriba tra acqua corrente, simbolo di vita e di purificazione, e acqua stagnante, simbolo di morte e contaminazione. La regressione ad un modello infantile è necessaria per riuscire a dire qualcosa che non si può o non si vuole.
Talete dice che "l'acqua è il principio di tutte le cose; le piante e gli animali non sono altro che acqua condensata e acqua torneranno ad essere dopo la morte".
?Alos questo lo sa bene e ad ogni scadere di tempo e ad ogni apertura di porta torna ad essere acqua, insieme a tutti noi.

Percuotevo l'acqua fresca con le braccia [...] poi tuffavo la testa sotto la piccola cascata; mentre la corrente mi inondava la bocca e il naso e frotte di guizzanti pesciolini emergendo dalla sabbia mi solleticavano le gambe. Come poteva l'acqua essere così meravigliosa? Sembrava lavare le ultime tracce di dolore della mia anima.[1]

Antonella Perazza



[1] A.J Cronin, Anni verdi.

sabato 8 giugno 2013

Mor 4 Orm - Recensione


Mor 4 orm
di Giulia Cesari (regia, curatrice partiture coreografiche, design luci e scena), Carla Rizzu (coreografie e partiture fisiche), Gianluca Lo Presti (musiche). Performer: Eva Campanaro,Nicolas Grimaldi Capitello, Carla Rizzu, Sara La Rovere.


Naturalmente il sogno.
Bozzolo. Involucro di aspetto setoso, tessuto da numerose specie di insetti mediante uno speciale apparato di secrezione, per proteggere le uova o i vari stadi di sviluppo delle larve
ass. Involucro del baco da seta
fig. Chiudersi nel proprio bozzolo, chiudersi in se stesso; vivere appartato
| Uscire dal bozzolo, uscire dall'ombra, farsi conoscere; evolversi.
Se si vuole tradurre con un approccio semantico l’impatto visivo del primo sguardo alla performance, quello che appare è tautologico.
Quattro bozzoli, di cui uno vuoto. Tre larve che iniziano il loro percorso epifanico[1]. La quarta è uscita, la sua evoluzione rimane un’idea da sviluppare nel proprio immaginario. Lo statico è reso dinamico, teatrale.


Drammi minimi per dirla alla Joyce.
La nascita comporta il pianto. Il pianto simboleggia un distacco. L’idea-forza sta alla base di ogni concepimento e come tale ne assume il comando reprimendo il grado di dolore catturato dal silenzio. Il dinamico inizia il suo percorso fatto di movimenti fluidi, rotti da minime incertezze che si traducono in un’incapacità del distacco. Tutto torna come prima.

Eppure non sono guarito.
L’uscita dal bozzolo, la vera nascita mette in contatto con la Terra. Il profumo ne viene percepito, il colore assorbito. La danza è sincronia, tendini a orologeria.

Una rosa è una rosa è una rosa. (Gertrude Stein)
Errori nelle distanze, carne trascinata, tutto diventa un dispiegamento di possibilità. Abbiamo già vissuto prima di nascere. Ora che tutto è veramente consumato è il momento di adattarsi.
*RHODIOLA ROSEA. Pianta adattogena specifica per affrontare le difficoltà della vita, rafforzando le capacità dell’organismo ad affrontare periodi critici.


Risvegli

— Siedi, siediti. Lo dobbiamo ricordare. Glielo dobbiamo ricordare, dobbiamo ricordarlo a tutti com’è bello.
— Cos’è che è bello Leonard?
— Hanno dimenticato che cos’è la vita, hanno dimenticato cosa significa essere vivi. Bisogna che qualcuno gli ricordi, gli ricordi cos’è che hanno e cos’è che potrebbero perdere. Io sento la gioia della vita, il dono della vita, la libertà della vita, la meraviglia della vita.
Dal film Risvegli (Awakenings).






[1] epifanìa dal lat. EPIPHANIA dal gr. EPIPHANEIA propr. apparizione.

venerdì 7 giugno 2013

Two Blend Cores, un parere

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mar 28 maggio
TWO BLEND CORES
di Luca Maria Baldini e Mirko Dadich.


*ricomporre: dal lat. RECOMPONERE composto dalla partic. RE di nuovo e COMPONERE comporre (.q. Voce). Comporre di nuovo; dare migliore assetto, rimettere in quiete, detto dell’animo, del volto e simili.


Luca Baldini e Mirko Dadich, in arte Two Blend Cores, fanno il loro esordio al festival Frattale con un tema complesso e dalle svariate interpretazioni.
Nella sua immagine universale e archetipa, l’albero costituisce un simbolo potente che vive e si moltiplica, nello spazio e nel tempo, in un'infinita varietà di forme.
La radice ne è l’elemento più durevole. Essa ha il compito di sostenere l’albero attraverso diversi andamenti che, se considerati psicologicamente, rappresentano l’invisibile, l’inconscio, l’insondabile, l’attaccamento alla terra e la primitività dell’uomo.
Attraverso un gioco di ricomposizione, un mosaico a grandezza umana, la performance cerca di trasmettere l’importanza del luogo in cui si vive e degli oggetti che lo circondano.
Un albero di più di 300 anni, forse il più antico di Ravenna, si staglia nel giardino dell’abitazione in cui lo spettacolo prende vita.
Il rimando al radicamento è forte. La rottura delle radici provoca disorientamento. L’essere umano scappa, sbatte, torna e capisce che l’unica cosa da fare è ricomporre.
Inizia il suo viaggio, il suo respiro è affannoso. Una vita così lunga non può essere frantumata, neanche per dieci minuti.
I suoni accompagnano il suo percorso. L’idea ora è chiara e il respiro si trasforma in suono. La rabbia legata all’incertezza è tale da non rendere fluido il suo lavoro. La musica si spezza. Manca persino un tassello. Che l’albero stia scomparendo a causa della sua scomposizione? La risposta è pronta. Armato di pennello, non si lascia sorprendere e completa la parte mancante.
Tutto diventa più semplice e il puzzle sembra giungere a compimento. Ancora un ultimo tassello e il disorientamento si trasformerà in curiosità e la curiosità in certezza. È proprio questo l’abero che stavi cercando? Queste le sue radici, questo il suo profumo? Mortadella. È ora del buffet. Forse anche il rizomatico Deleuze avrebbe favorito.


Antonella Perazza

Cedula, recensione di Antonella Perazza


ven 31 maggio
Menoventi - Cedula
di Alessandro Miele, Consuelo Battiston, Gianni Farina
Con Consuelo Battiston e Gianni Farina, regia di Gianni Farina


Ho firmato un patto col Diavolo. L’ho firmato ieri sera e non c’ho neanche pensato.

Lei era bellissima tra le altre, un Rossetti animato per intenderci. Mi ha offerto una tisana. L’ho scelta al mirtillo. No, senza zucchero!
— Mirtillo, ottima scelta, la mia preferita.
Mi guardavano tutte. Ho riconosciuto degli sguardi noti, familiari.
— Ma si, eri a casa della nonna, ci siamo viste li, non ti ricordi?
Forse non ero io. Le altre invece tergiversavano, era scocciate e furtive. Alcune, poi, non le ho neanche guardate. Erano troppe. Lei, invece, la donna bellissima, continuava con i suoi lavori domestici. Forse non si accorgeva di tutte quelle bambole o forse aveva fatto un patto anche lei. Ma con loro stavolta.
La stanza era stranamente silenziosa per essere popolata da presenze così inquietanti. Menoventi. Sentivo il bisogno di riscaldarmi. Ho bevuto la mia tisana.
— Attenta, scotta.
Ho sorseggiato piano piano ma qualcosa mi ha interrotto.
— Tutto bene?
È entrato lui. Bell’aspetto. Occhi glaciali. Ho bevuto di nuovo mentre mi parlava.
— Ho bisogno di una piccola formalità iniziale. Ti faccio scrivere due righe e firmare.
Aveva un’aria rassicurante e io ho iniziato a scrivere sotto dettatura. Non ho alzato mai lo sguardo e non mi sono curata di ciò che stavo facendo. Troppi occhi fissi su di me. Io che sono abituata a confondermi nella folla. Io che saluto tutti ma che non sono mai riconosciuta, oggi così osservata? Non sapevo se ce l’avrei fatta. Ho mandato giù un altro sorso e ho firmato il mio patto. Dopo, però, l’ho rivoluto indietro.
— Scommettiamo?
Stai ancora leggendo?
Allora hai già deciso… complimenti! Ottima scelta, lo spettacolo è iniziato.
Evviva il libero arbitrio!
Seguiti a leggere?
Sei già nelle loro mani.


Hai firmato un patto col Diavolo. L’hai firmato ieri sera e non c’hai neanche pensato. Tutto il resto lo sai già.

Antonella Perazza

giovedì 6 giugno 2013

La "nostra" Antonella intervista Attila Faravelli


mar 28 maggio
Freie Aerophone
di Attila Faravelli e Matija Schellander. In collaborazione con Delikatessen e Il Forum Austriaco di Cultura.


Instructions:
1. By carefully pushing them out, extract the 3 oval-shaped bullroarers.
2. With a tissue, clean off the black dust from the laser cut process.
3. Lightly smooth out the edges of the ovals with the provided sandpaper. The bullroarers will sound anyway - but we find them to play better the more aerodynamic they are, in the sense that they will sound more only in the low-frequency spectrum.

Ciao Attila. Vorrei sapere da te perché un musicista contemporaneo sceglie di accostare uno strumento secolare ad una sperimentazione musicale site-specific?
Perché un mezzo di produzione sonora antico come il rombo permette di lavorare sul suono nel suo senso più grezzo, come una materia non ancora formata e organizzata in un linguaggio musicale. Proprio per questo il suo suono sta in relazione con lo spazio specifico in cui lo si utilizza. Altri strumenti più evoluti sono talmente intrisi di musica che possono parlare 'solo' un discorso musicale, lo spazio dell'esecuzione è un contorno. Il rombo invece emette un solo suono elementare e questa assenza di possibilità di una modulazione discorsiva (in senso musicale) rende percepibile lo spazio acustico in cui lo si utilizza. 
Puoi spiegarmi come avviene la stesura di un pezzo come quelli proposti? Che peso ha la casualità nel risultato finale?
Proprio perché il lavoro che facciamo è sul suono l'elemento di improvvisazione è centrale, cambia moltissimo in relazione al luogo. Inoltre, essendo la relazione con lo spazio un elemento che ci interessa esplorare, cerchiamo di utilizzare quello che troviamo. Quelle che si definiscono casualità J.J.Gibson le chiamerebbe 'affordances', possibilità di utilizzo che vengono offerte dall'ambiente. Ancora prima che lo analizziamo in maniera razionale uno spazio offre delle occasioni materiali che determinano un modo specifico di attraversamento e di utilizzo. Ad esempio forse ti ricordi della porta a vetri, quella sera c'era la possibilità di creare un dialogo con quella porta, che in un altro spazio non c'è. Come puoi immaginare non c'era nessuna forma di premeditazione visto che non eravamo mai stati in quello spazio, però la forma del nostro modo di suonare non è casuale ma è quella di creare qualcosa a partire dagli elementi accidentali. Comunque, sia io che Matija abbiamo una serie di operazioni e azioni semplici che combiniamo di volta in volta in maniera diversa. La natura di queste azioni è tale da eccitare acusticamente alcune caratteristiche dello spazio in cui suoniamo.
Rotazione/rivoluzione, orario/anti-orario. Sono movimenti del Freie Aerophone che troviamo nella meccanica dei corpi celesti (sistema Sole-Terra-Luna). In che modo la Scienza si collega al tuo lavoro?
Non ci avevo mai pensato in questi termini e mi sembra un paragone molto bello! In 2001 odissea nello spazio Kubrick avrebbe potuto mettere, insieme alle stazioni spaziali orbitanti a ritmo di valzer, i primi uomini che roteavano degli ossi attaccati a un filo (pare sia stata questa la prima forma di rombo nella storia). Della scienza mi interessa molto l'aspetto empirico da laboratorio, procedere per prove ed errori. Ma soprattutto mi piace molto l'idea stessa alla base della scienza per cui ci sia un mondo.. e che quando ci muoviamo e agiamo nel mondo il mondo non si muova con noi ma invece ci tocchi assecondare delle leggi e delle situazioni, delle occasioni che incontriamo. Non dico questo perché io sia determinista, anzi credo che nel fare i conti con questa presenza materiale stia l'unica possibilità di essere liberi. Però, se ci pensi, tutti i dispositivi di cui ci circondiamo, dagli smartphone agli Ipod, dalla macchina al computer, alle casse dello stereo nelle nostre case super coibentate, sono fatti per darci l'impressione che il mondo sia in nostro controllo, in un certo senso che esso ci segua e sia una nostra emanazione, che gli ostacoli materiali siano un fastidio da smaterializzare. L'idea alla base delle mie edizioni (Aural Tools) è di costruire dei dispositivi che interagiscano con ed accentuino la materialità del contesto in cui li si utilizzano. Quindi mi interessa l'idea alla base della scienza per cui ci sia un mondo con cui fare i conti, ma mi interessa meno l'aspetto tecnologico di controllo che comunque deriva da un atteggiamento scientifico rigido.. Ma è un discorso complesso. So solo che le edizioni che sto realizzando portano sempre il nome di un artista, come a dire che non c'è il tentativo di dimostrare una verità scientifica o una legge fisica.
A proposito di questo. Com’è nata la collaborazione con Matija Schellander? Avete in mente altri progetti insieme per il futuro?
Ho conosciuto personalmente Matija quando gli ho organizzato un concerto nel mio studio a Milano, alla serie che organizzo, The Lift. Mi è piaciuto subito il suo approccio al contrabbasso, molto basato sul suono, molto concreto. Inizialmente la nostra collaborazione avrebbe dovuto essere un brano per l'oggetto Trifoglio, il primo dei multipli del progetto Aural Tools, ma poi abbiamo pensato che valesse la pena di inventarci insieme un altro oggetto di design acustico. Matija è una persona squisita, permettimi una equazione veramente massimalista ma basata sulla conoscenza di molti bassisti! Come molte persone che scelgono di suonare il basso Matija non è per niente auto-centrato, ha delle qualità di ascolto non appariscenti ma molto profonde. Sono sicuro che ci inventeremo qualche altro progetto per il futuro anche se non ho ancora idea di quale. 

mercoledì 5 giugno 2013

La recensione di Eritnes di Antonella Perazza


mer 29 maggio
Eritnes
di Juliano Dhembi, audio Mario Guida.



Eritnes rappresenta il primo atto di un lavoro di documentazione sulle possibilità che il nostro corpo ha di ascoltare i propri input, restituendoli attraverso una dimensione sensoriale.
Punto fermo del percorso è il lavoro sulla forza interiore e in particolare sul suo ascolto. Pensiamo per un attimo di tapparci le orecchie, anche se non ne abbiamo la necessità perché ci troviamo in un posto isolato. Iniziamo ad ascoltare, ad indagare nel profondo ciò che l’udito, isolandosi, percepisce.
Pensiamo alle sensazioni che ne scaturiscono. Strato sotto strato, scavando sempre più a fondo, isolando il suono del nostro respiro, arriviamo a percepire il nostro battito cardiaco.
Eritnes lo indaga, ne studia le possibilità. Capisce cosa innesca una tachicardia e la registra. Le sue sensazioni sono espresse tramite l’udito.
Immaginiamo, ora, di chiudere gli occhi. Frame rapidi, a volte impercettibili, si susseguono finché non riusciamo a identificarne qualcuno. Ma solo per qualche istante.
La velocità con cui si manifestano immagini e rumori è assimilabile ad un caos generativo che prova a cercare la strada per il proprio concepimento. Le sue emozioni sono espresse tramite la vista.
Che cosa potrebbe accadere a queste sensazioni se ad un tratto apparisse improvvisamente qualcosa di inatteso da una struttura inanimata?
In un’antica storia Inuit, un pescatore, credendo di aver preso un grosso pesce che l’avrebbe nutrito per chissà quanto tempo, rimane stupito quando si accorge di aver pescato una donna che “più lottava più restava impigliata. Inesorabilmente veniva trascinata verso la superficie, con le costole agganciate all’amo”[1].
Il pescatore se ne innamora e la loro diventa una simbiosi.
In Eritnes la simbiosi di suoni e immagini converge nella staticità di un tronco e nella sua successiva metamorfosi in una figura femminile che diventa protagonista.
La donna albero, una Dafne per una volta protagonista e non legata all’antico nome di Apollo, assume caratteristiche di rinascita. La percezione sensoriale è completa. Non resta che lasciarsi trascinare dalla sua forza primordiale.





[1] Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Milano, Edizioni Frassinelli, 1993, p.123.

sabato 1 giugno 2013

Antonella Perazza recensisce per Frattale lo spettacolo "Svolta"


lun 27 maggio
Svolta
con Silvia Mazzavillani (concetto, regia, performer), Enrico Errani (performer musicale), Daniele Pennati (performer)

Ho lasciato una posizione non per sostituirla con altra,
ma perché anche quella era solo stazione di un cammino.
Quel che rimane costante nel pensare è il cammino.
E i sentieri del pensiero nascondono in sé un aspetto misterioso:
noi li possiamo percorrere in un senso o nell’altro;
anzi proprio solo il percorrerli a ritroso consente di avanzare.

M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio.





Entrano dalla porta, senza bussare, piedi nudi. Silenzio. Passi sul parquet, lo sguardo è sfuggente. Sono due corpi che non si trovano e che forse neanche si cercano, separati da pochi millimetri di vuoto. Consumano i propri spazi in modo autonomo come in una sovrapposizione multipla. Ognuno è l’ombra dell’altro e ne è il dopplegänger.
Cosa stanno cercando? Chi stanno cercando? Dove stanno cercando?

Non presi l’autobus verso la stazione, mi ritrovai invece a ripercorrere tutti i miei passi all’indietro come un goffo gambero fino all’appartamento.

La strada è impressa nella loro memoria, sempre quella, si percorre velocemente, avanti e poi indietro, a volte si gira e si cerca altrove. Il cammino non è il percorso necessario per giungere alla meta: ciò che solo conta è il cammino stesso. Si cercano possibilità. La svolta comporta possibilità. Ma tra tutte le scelte possibili quale diventa quella giusta? Quale il risveglio emotivo, quale la presa di coscienza?

Mi chiusi la porta alle spalle, gentilmente questa volta e poi mi incamminai, coi pensieri ovattati come cotone idrofilo.

La performance ci offre uno spaccato vivido dei percorsi che siamo indotti a seguire o lasciare durante la nostra crescita. La possibilità di un cambiamento che è spinta e fardello al tempo stesso. La ricerca del meglio che può diventare disagio e il disagio può trasformarsi in agonia.
Ma l’apparente fase di ricerca si trasforma in un approdo.
La meta/stanza è spettatore e protagonista, continuo rimbalzo tra interno e esterno, gioco sinestetico. Diventa un acquario in cui si cerca di stare a galla. Chiusi in un cubo di vetro, i doppi valutano la possibilità di fermarsi. Di restare.
Tutto si capovolge. Incerti si divincolano, si contorcono. Come sonnambuli alla ricerca di aria, come pesci che si dibattono asfissiati, aprono la finestra, sfondano l’acquario per respirare.
Dallo studio dei movimenti di Silvia Mazzavillani e Daniele Pennati e le musiche di Enrico Errani si apre uno spiraglio sulla sfera emozionale di uomini e donne del nostro tempo, dispersi e soffiati via dall’incertezza.

Antonella Perazza


svoltàre |dial. nap. votàre, sic. vutàri sbutari; fr. Vautrer: composto del lat. EX da e VOLUTàRE intensivo di VòLVERE volgere (v.q. Voce).